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Se ne stavano l'una accanto all'altro, teneramente, come se fosse stata la prima volta; guardavano la luna che spuntava a est, tentando d'indovinare la destinazione delle navi di passaggio. Le due luci rosse, accese sull'albero maestro sopra di loro, indicavano che erano ormeggiati sopra un relitto e diffondevano quel minimo di chiarore necessario per riuscire a scorgersi in volto.
«Non avrei mai pensato che saremmo arrivati a questo punto», mormorò Heidi.
«Hai mosso le acque e adesso s'increspano in cerchi concentrici sempre più larghi», replicò Pitt.
Gli si appoggiò al fianco. «Strano che la scoperta d'una vecchia lettera in un archivio universitario abbia coinvolto un così gran numero di persone. Se almeno l'avessi lasciata dov'era...» sospirò.
Lui le passò un braccio attorno alle spalle e la strinse con dolcezza. «La storia non si fa coi se.»
Heidi portò lo sguardo sul cacciatorpediniere davanti a loro. I ponti e le sovrastrutture rettilinee erano illuminati a giorno; il ronzio dei generatori arrivava fin sull'Ocean Venturer. Una fascia di nebbia strisciò in avanti dalle rive e la donna rabbrividì. «Che succederà se non rispettiamo la scadenza fissata dal comandante Weeks?»
Pitt sollevò il polso per vedere l'ora. «Lo sapremo tra venti minuti.»
«Non puoi immaginare quanto mi vergogno.»
Le lanciò un'occhiata. «Che c'è? Siamo al momento della confessione?»
«Quel cacciatorpediniere non sarebbe qui, se non avessi chiacchierato con Shaw.»
«Ricordi quel che ti ho detto a proposito dei se?»
«Ma io sono andata a letto con lui. E questo peggiora le cose. Se qualcuno restasse ferito... o peggio... Io...» Non riuscì a trovare le parole e tacque, mentre Pitt le stringeva una mano. Rimasero qualche minuto in silenzio, fin quando un discreto colpetto di tosse dietro di loro non li richiamò alla realtà. Pitt si voltò: era Rudi Gunn, affacciato al ponte sovrastante.
«Faresti meglio a venire su, Dirk. Weeks sta diventando piuttosto insistente. Protesta, dicendo che non vede nessun segno di un'imminente partenza. Io sto esaurendo i pretesti.»
«Lo hai informato che a bordo abbiamo la peste bubbonica e un ammutinamento?»
«Non è il momento di scherzare», ribatté Gunn, serio. «Inoltre abbiamo un contatto sul radar. Ho paura che il nostro ospite abbia chiamato rinforzi.»
Attraverso i finestrini del ponte di comando, Weeks fissava la nebbia che stava salendo dall'acqua. Teneva in mano una tazza di caffè piena a metà, che si andava raffreddando. Il suo atteggiamento, solitamente tollerante, incominciava a mutare a causa dell'irritante indifferenza che il battello della NUMA opponeva alle sue richieste d'informazioni. Rivolto al suo primo ufficiale, chino su uno schermo radar, chiese: «Che cosa ritiene che sia?»
«Una grossa nave, e nient'altro. Probabilmente una cisterna costiera, oppure un trasporto di container. Lei ne vede le luci?»
«Le vedevo solo quand'era sopra l'orizzonte. Adesso la nebbia le ha cancellate.»
«La maledizione del San Lorenzo», commentò il primo ufficiale. «Non si sa mai quando la nebbia decide di calare su questa parte del fiume.»
Weeks tentò di esplorare con il binocolo l'Ocean Venturer, ma il banco di nebbia stava già inghiottendo anche le sue luci. Pochi attimi e la nave da sorvegliare sarebbe diventata invisibile.
Il primo ufficiale si rizzò, sfregandosi gli occhi. «Se l'esperienza non mi suggerisse il contrario, direi che è una rotta da far temere una collisione.»
Weeks impugnò un microfono. «Sala radio, parla il comandante. Sintonizzatemi alla svelta sulla frequenza delle chiamate di sicurezza.»
«Il contatto sta rallentando», annunciò il primo ufficiale.
Weeks attese finché non udì il leggero crepitio d'una scarica statica dall'altoparlante del ponte. Poi incominciò a trasmettere. «Al natante sulla rotta controcorrente. Rilevamento zero-uno-sette gradi al largo di Pointe-auPère. Qui il cacciatorpediniere Huron, della reale Marina canadese. Vi prego di rispondere. Passo.»
L'unica risposta fu un'altra scarica statica.
Ripeté l'invito altre due volte, con lo stesso risultato.
«Velocità ridotta a tre nodi e continua ad accostarsi. Distanza mille e ottanta metri.»
Weeks ordinò a un marinaio di segnalare con il corno da nebbia per la navigazione interna che c'era una nave all'ancora. Quattro ululati rauchi del corno si propagarono sopra l'acqua cupa: uno breve, due lunghi, un quarto di nuovo breve. La risposta fu uno stridio prolungato che tagliò la nebbia.
Weeks si affacciò sulla soglia, tentando di penetrare con lo sguardo l'oscurità notturna. La nave intrusa in accostamento era invisibile.
«Sembra che stia scivolando tra noi e l'Ocean Venturer», riferì il primo ufficiale.
«Perché non rispondono, per la miseria! Perché non girano al largo, quegli idioti?»
«Forse non sarebbe male mettergli addosso un po' di fifa.»
«Sì, penso che servirebbe», rispose il comandante, con un balenio astuto negli occhi. Schiacciò il bottone trasmittente del microfono e disse: «Alla nave in accostamento a sinistra, di poppa. Questo è il cacciatorpediniere Huron, della reale Marina canadese. Se non vi identificate immediatamente, apriremo il fuoco e vi faremo saltare in aria».
Passarono forse cinque secondi. Poi una voce gracchiante uscì dall'altoparlante del ponte, con un inconfondibile accento texano.
«Questo è l'incrociatore lanciamissili Phoenix, della Marina degli Stati Uniti. Appena sei pronto spara pure, compare.»